Carlo morì il 31 dicembre 1839, a ottantasette anni e con la dignità che si conviene a un buon terziario francescano. Però appena rimase solo con Caterina dimenticò che un buon terziario francescano deve accogliere la morte ignorando legami, passioni, rimpianti, e a lei rivolse un addio assai diverso. Le disse che moriva amandola più di quanto l'avesse amata in oltre mezzo secolo di matrimonio, perchè col tempo il suo amore s'era irrobustito come un buon vino vecchio conservato bene. Le disse che era contento di non essere emigrato in Virginia col signor Mazzei, perchè laggiù non l'avrebbe incontrata e senza di lei sarebbe stato povero anche se fosse diventato ricco. Le disse che il giorno in cui era andata a cercarla alla fiera di Rosìa era stato un giorno benedetto, un dono del Signore, quindi la ringraziava di tutto: d'averlo accettato, d'averlo sposato, d'averlo rallegrato con la sua energia e il suo caratteraccio, nonchè di averlo strappato ai francesi che volevano fucilarlo. Infine le disse che era stata l'unica donna della sua vita, la sola che avesse desiderato e toccato, sicchè delle altre donne lui non sapeva nulla e gli pareva di essere Adamo che si accomiava da Eva: compagna insostituibile, irrepetibile, assoluta. Caterina lo ascoltò piangendo. E piangendo rispose che anche lui era stato l'unico uomo della sua vita, il solo che avesse desiderato e toccato nonostante fosse un dannato bacchettone e leccasanti. Anche lei lo ringraziava di tutto: d'averla scelta, d'averla compresa, d'averla sopportata, d'averle insegnato a leggere e scrivere. Anche lei lo amava più di quanto lo avesse amato in quel mezzo secolo e passa perchè col tempo l'amore s'era irrobustito come il vino vecchio. Anzi, visto che all'inizio il vino non era vino ma acqua, col tempo il suo vino era diventato un liquore così ubriacante che non poteva farne più a meno: non sapeva più vivere senza di lui.
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