Con lui avevo conosciuto quella felicità che non si deve ricercare, programmare, gestire; con lui era stato tutto regalo di un’empatia immediata benedetta/maledetta, di quelle affinità elettive che senti affiorare nei pensieri prima ancora che la cosa ti sembri appartenere, essere reale… di quelle emozioni che da ragazzina avevi provato guardando un film o dopo la lettura dell’ultimo romanzo d’amore. Perché lui era la felicità, senza di lui tutto era niente e niente assomigliava alla felicità. Stefano era stato il mio biglietto da visita nella città di Dante, dove il grande Alessandro andò a sciacquare i panni in Arno, dove la “c” si aspira e la magia si respira in ogni dove. Firenze, la città più bella del mondo, dicevano gli studenti americani. Dopo Firenze, ogni posto era diventato relativo. Dopo Stefano tutto sarebbe stato relativo. Perché lui non era tra i miei desideri, lui era il desiderio, l’unico che avessi tutte le volte in cui pensavo alla felicità.
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