A Sarajevo la chiamano the snipers' road, la strada dei cecchini. La si deve percorrere per raggiungere l'ospedale, lo stesso dove vengono portate, il più delle volte inutilmente, le loro vittime. L'ultimo arrivato è un bambino biondo, centrato in piena fronte da una pallottola. [...]
Quella del cecchino è una guerra strana. Il suo lavoro non produce centinaia di vittime, la sua arma è semplice, un fucile di precisione: un colpo, un morto. C'è qualcosa nella guerra del cecchino che fa più orrore delle bombe. Attraverso il binocolo del fucile, il bambino biondo lo si può vedere grande grande, come se fosse lì accanto.
Lo si può vedere giocare, fare smorfie nel rotolarsi sulla neve fresca. è lui il nemico, anche se la sua sola arma è quel pezzo di legno che usa come slitta. Il binocolo non inquadra eserciti minacciosi che avanzano, solo la faccia di un bambino come fosse in fototessera. Non lo sa, il nemico, di essere osservato, non sa che la sua fronte lentamente si muove fino a occupare il centro della croce del binocolo del cecchino. E forse sorride, mentre viene premuto il grilletto.
In inglese the snipe è la beccaccia. E il verbo to snipe significa "sparare da una posizione nascosta", proprio come si fa con le beccacce. Ma come si fa ad uccidere, se la beccaccia ti sta sorridendo? Un cecchino di Sarajevo si lascia intervistare in una stanza quasi buia. Mi sembra incredibile: è una donna. Una donna che spara ad un bambino di sei anni? Perchè?
"Tra vent'anni ne avrebbe avuti ventisei", è la risposta che l'interprete traduce. Il freddo diventa più intenso, fa freddo dentro.
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